Le origini della bicicletta sono, come tutte le grandi scoperte, avvolte nel mistero e talvolta ammantate di leggende che rischiano di depistare da ricostruzioni storiche più rigorose.
Non suffragate dai fatti, per esempio, le teorie che fanno risalire la progettazione di un mezzo simile alla bicicletta ai Cinesi e a Leonardo Da Vinci ( che, come insegna il successo del “Codice da Vinci”, viene sempre tirato in ballo, non sempre a proposito). Lo schizzo, risalente al 1490 circa, di qualcosa assomigliante a un velocipede, pur apparendo nel Codice Atlantico di Leonardo è in realtà opera di un allievo del genio toscano, e a riconoscerlo è lo stesso Prof. Augusto Marinoni, celebre studioso di Leonardo, che rinvenì il disegno negli anni ’60. Così come non costituiscono prove tangibili l’esistenza di fantomatici carri a due ruote non appaiate di fabbricazione cinese o di un angelo seduto su una trave appoggiata su due ruote, raffigurato sulla vetrata della chiesa inglese di Stoke Poges, risalente al 1642.
In un museo di Monaco di Baviera è conservata la cosiddetta “bicicletta di Kassler”, che molti fanno risalire al 1761, ma se è per questo, si sa anche che nel 1691 il francese Ozanam costruì un trabicolo con due ruote, una più alta e una più bassa, che ricorda vagamente una bicicletta.
Sgombrato il campo da queste suggestioni, avviciniamoci ai giorni nostri, dove comunque non mancano i dubbi dal punto di vista della ricostruzione storica. Nel 1791, e su questo sembrano tutti d’accordo, il conte francese Mede de Sivrac presentò ai giardini del Palais Royal un veicolo formato da una trave in legno che collega due ruote, anch'esse in legno. Il mezzo, denominato celefifero o velocifero, era privo di sterzo e andava grazie alla spinta alternata dei piedi. Come si può facilmente intuire, era estremamente scomodo e non facile da manovrare, tant’é che rimase nient’altro che un simpatico passatempo per nobili e ricchi borghesi.
Il secondo e fondamentale step avviene nel 1817, quando il barone tedesco Karl von Drais presenta un “celerifero”, che, oltre a un rudimentale sellino, ha una ruota anteriore sterzante.
Questo accorgimento rende molto più controllabile il mezzo che, battezzato draisine o draisienne (in italiano draisina) diventa in breve tempo appetibile anche come mezzo di trasporto.
il celerifero |
Questo accorgimento rende molto più controllabile il mezzo che, battezzato draisine o draisienne (in italiano draisina) diventa in breve tempo appetibile anche come mezzo di trasporto.
Sembra incredibile, ma per i successivi cinquant’anni nessuno pensa a introdurre un elemento chiave nel funzionamento delle odierne biciclette: i pedali!!
Al di là delle innovazioni citate, infatti, il mezzo in questione continua a muoversi tramite la spinta, alternata o in contemporanea, dei piedi. Allora pareva impossibile che l’uomo avesse tali capacità psico-motorie per mantenere per lunghi percorsi un equilibrio così precario, e in effetti il coordinamento dimostrato dal corpo umano sulla bicicletta stupisce ancora gli scienziati di oggi.
L’idea di una draisina in cui i piedi spingevano su pedali, senza alcun contatto col terreno, é merito dei fratelli parigini Michaux, nel 1861. Il nuovo velocipede ( che d’ora in poi comincia ad essere chiamato “bicycle” o “biciclo”), aveva i pedali collegati all’asse della ruota anteriore.
La conseguenza, facilmente intuibile, è che il veicolo percorreva, ad ogni pedalata, una distanza pari alla circonferenza della ruota davanti. Da qui la necessità di aumentarne il più possibile il diametro (nei primi modelli dei Michaux non c’era grandissima differenza fra le due ruote), fino ad assumere quelle inconfondibili sembianze, riprodotte nelle immagini d’epoca, con una ruota posteriore minuscola e una anteriore mastodontica, con tutte le conseguenze, in termini di scomodità e pericolosità, che ciò comportava (piuttosto diffusi sono infatti i tricicli, con due ruotine posteriori, decisamente più stabili).
la "michaudina" |
La conseguenza, facilmente intuibile, è che il veicolo percorreva, ad ogni pedalata, una distanza pari alla circonferenza della ruota davanti. Da qui la necessità di aumentarne il più possibile il diametro (nei primi modelli dei Michaux non c’era grandissima differenza fra le due ruote), fino ad assumere quelle inconfondibili sembianze, riprodotte nelle immagini d’epoca, con una ruota posteriore minuscola e una anteriore mastodontica, con tutte le conseguenze, in termini di scomodità e pericolosità, che ciò comportava (piuttosto diffusi sono infatti i tricicli, con due ruotine posteriori, decisamente più stabili).
La strada ormai è segnata. Le successive modifiche vanno nel senso di un miglioramento della maneggevolezza, della comodità e della rapidità del mezzo. Nel 1868 i francesi Guilmet e Mayer, un orologiaio e un meccanico, inventano la trasmissione a catena, che verrà perfezionata negli anni a seguire e apre la strada alla “parificazione” delle dimensioni delle ruote. L’anno dopo Surinay inventa i cuscinetti a sfera, ma l’ultimo, decisivo, apporto, è dato dal veterinario scozzese John Boyd Dunlop ( sì, proprio quello della multinazionale dei pneumatici), nel 1888.
Sfruttando la recente scoperta della vulcanizzazione della gomma, fatta dall’americano Goodyear ( un altro che farà fortuna nel settore..), Dunlop sostituisce le rigidissime gomme piene della draisina del figlio (ai primordi le gomme erano in legno), con tubi gonfiati ad aria, in parole povere gli odierni pneumatici. L’innovazione è decisiva, nell’evoluzione della bicicletta come mezzo di trasporto, e forse ancor di più nella nascita del ciclismo come sport (“il ciclismo agonistico inizia dopo che il veterinario Dunlop inventò la gomma pneumatica”, secondo Rino Negri).
Il successo della bicicletta si spiega, anche se non soprattutto, in termini fisiologici e ergonomici. Il dispendio energetico di un ciclista è di cinque volte inferiore a quello di un pedone, e la velocità di spostamento è, come ben sappiamo, nettamente superiore. I muscoli chiamati maggiormente al lavoro nel pedalare, oltre ad essere molti meno dal punto di vista numerico, sono quelli più robusti e pertanto più resistenti del corpo umano, cioè quelli delle cosce.
L’utilizzo del nuovo strumento di locomozione è piuttosto variegato. C’è anche un profondo interesse da parte dei militari, che creano ben presto i “reparti ciclisti” ( in Italia i bersaglieri ciclisti nascono nel 1899).
Ma è chiaro che l’apporto più significativo è dato allo sviluppo del trasporto individuale sulle medi distanze, spianando di fatto la strada all’automobile. Fondamentale la nascita, in tutta Europa, dei vari Touring club (quello italiano risale al 1894), fondati da appassionati di ciclismo e solo successivamente rivolti ad auto e moto. Oltre ad essere determinanti nello stimolare il miglioramento della rete stradale, queste associazioni del tempo libero contribuirono a diffondere l’uso della bicicletta fra i ceti medio-bassi, sia come modo per impiegare le ore di riposo lavorativo acquisite grazie alle conquiste operaie di quegli anni, sia come utile strumento di trasporto per spostarsi dalla propria casa al posto di lavoro e viceversa.
All’inizio del Novecento la bicicletta è considerata un vero e proprio “strumento di democrazia”. Ne parlano con entusiasmo poeti e intellettuali, soprattutto i Futuristi.
Uno dei più famosi pittori di quegli anni, Maurice de Vlaminck, partecipa a numerose corse fra cui una Parigi-Roubaix.
Uno dei più famosi pittori di quegli anni, Maurice de Vlaminck, partecipa a numerose corse fra cui una Parigi-Roubaix.
Interessantissimo è poi il legame con l’evoluzione della condizione femminile, alle prese allora con i primi “moti femministi”.
Già il fatto che le donne potessero spostarsi liberamente da sole, senza essere scortate da alcun cavaliere di sorta, era di per sé una novità. Per quanto riguarda l’abbigliamento, é la bicicletta a dare la definitiva spallata all’uso del busto e a lanciare la moda dei pantaloni, decisamente più comodi dei gonnelloni di allora. E c’è chi, con acuta e documentata malizia, vede nel contatto prolungato fra il sellino e gli organi genitali femminili, una occasione per prendere coscienza della propria identità sessuale, in un’epoca in cui si faceva di tutto per reprimerla. Insomma, non c’è da stupirsi se al Convegno Femminista del 1896 si brindi con enfasi alla “bicicletta egualitaria e livellatrice”.
1913: Natalia Goncharova, pittrice futurista russa, dipinge "Il ciclista" |
Già il fatto che le donne potessero spostarsi liberamente da sole, senza essere scortate da alcun cavaliere di sorta, era di per sé una novità. Per quanto riguarda l’abbigliamento, é la bicicletta a dare la definitiva spallata all’uso del busto e a lanciare la moda dei pantaloni, decisamente più comodi dei gonnelloni di allora. E c’è chi, con acuta e documentata malizia, vede nel contatto prolungato fra il sellino e gli organi genitali femminili, una occasione per prendere coscienza della propria identità sessuale, in un’epoca in cui si faceva di tutto per reprimerla. Insomma, non c’è da stupirsi se al Convegno Femminista del 1896 si brindi con enfasi alla “bicicletta egualitaria e livellatrice”.
Ma il contributo decisivo all’ingresso della bici nella cultura popolare é dato dalle grandi gesta dei campioni e dalla nascita dei grandi Giri, capostipite il Tour de France, che vede la luce nel 1903.
FA SCHIFO
RispondiEliminaBuogiorno,
RispondiEliminale prime 3 foto inserite in questo contributo ritraggono reperti appartenenti alle collezioni Museo miscellaneo Galbiati di Brugherio, di cui sono conservatore.
Vi segnalo l'inesattezza della dida della prima foto, che ritrae la Draisina e non il Celerifero.
Grazie
G.Galbiati